Castel Bolognese: Comecer, il nucleare vira sulla sanità e sta in salute

Articolo tratto dal sito repubblica.it – www.repubblica.it/economia/affari-e-finanza

A Castel Bolognese, in via dell’artigianato 305, i lavori sono ormai ultimati. Mancano solo gli ultimi ritocchi, poi questo capannone da 2mila metri quadri situato nel quartiere industriale del comune romagnolo sarà finalmente pronto. Tempo qualche settimana, insomma, e diventerà ufficialmente il nuovo stabilimento della Comecer, azienda romagnola che figura tra i leader in Europa nella produzione di macchinari e sistemi di isolamento per la medicina rigenerativa e nucleare. Una piccola grande realtà che in questo modo si doterà del suo terzo sito produttivo, il secondo in Italia, realizzando un ampliamento (l’headquarter dista poche decine di metri) che rappresenta il degno coronamento di una crescita continua, ben sintetizzata dall’aumento del valore della produzione (47 milioni nel 2012, 66 lo scorso anno) e del numero di dipendenti, passati dai 95 del 2007 ai trecento attuali. Quest’ultimo dato, peraltro, potrebbe crescere ulteriormente, dal momento che l’espansione della superficie produttiva porterà all’inserimento di 30 lavoratori nell’arco di due anni. Le nuove linee, tra le altre cose, permetteranno di far fronte alla commessa da dieci milioni di euro che Comecer ha recentemente incassato dall’azienda biofarmaceutica tedesca CoDon . Un accordo «importantissimo» – commenta Alessia Zanelli, 42enne amministratore delegato – e in un certo senso paradigmatico della strategia aziendale. L’intesa, che prevede la fornitura di sistemi modulari di isolatori e di incubazione di colture cellulari in ambiente asettico, è stata infatti siglata al termine di un periodo di sperimentazione durato un anno e mezzo, durante il quale Comecer ha fornito ai tedeschi macchinari per 800mila euro. «È la nostra ricetta: affianchiamo i clienti nella fase di sviluppo e sperimentazione dei farmaci, fornendo le tecnologie “taylor made” necessarie – prosegue Zanelli, figlia del fondatore Carlo – Siamo gli unici che riescono a offrire soluzioni chiavi in mano.

Di solito viene da noi chi ha esigenze un po’ “strane”». Normale, visto che da queste parti l’innovazione è quasi un’ossessione. L’azienda investe ogni anno il 7% del fatturato in ricerca e sviluppo e ha anche avviato collaborazioni con molti laboratori ed istituti, come la sponsorizzazione annunciata con il Rizzoli di Bologna per una ricerca di medicina rigenerativa. Curioso, se si pensa che in principio la medicina non era certo di casa. Fondata a metà degli anni ’70, Comecer è nata infatti come fornitore di tecnologia per l’Agenzia Nucleare Italiana. «Con il blocco delle centrali, però, siamo passati da un fatturato di 4 miliardi di lire a 0. Allora abbiamo portato il nostro know how nella medicina nucleare». Una nicchia poco esplorata, e che tuttavia aveva urgente bisogno di impianti di protezione per gestire i radiofarmaci. L’idea si è rivelata azzeccata, e nel tempo l’azienda è cresciuta fino ad instaurare rapporti con multinazionali in tutto il mondo (vale la pena di citare tra le altre GlaxoSmith-Kline, Bayer e Novartis). Nel 2011, poi, è arrivato anche il Fondo Investimento Italiano, entrato in società con il 33% grazie ad un assegno da 7,5 milioni. Soldi freschi, che hanno permesso a Comecer di acquisire aziende in Olanda (Veenstra Instruments) e Repubblica Ceca (Vitrae Czech). Infine, nel novembre 2015, l’uscita di Fii, con il subentro del Fondo Principia III – Health gestito da Principia Sgr e specializzato nell’healthcare, tutt’ora detentore del 45%. Una galoppata che ha portato Comecer ad aprire sedi commerciali e di assistenza a Filadelfia, Mumbai, Pechino e Dubai e a chiudere il 2017 con un fatturato e un Ebitda, rispettivamente, da 57 e 7,2 milioni di euro. A lato, uno dei sistemi di isolamento per la medicina rigenerativa e nucleare prodotti da Comecer.